Oggi alla Camera dei Deputati si è discussa la mia mozione sulle Pensioni d’Oro, in cui chiedo al Governo di intervenire sulle pensioni superiori a 60,000 euro all’anno, identificando, per queste pensioni, il differenziale tra contributi effettivamente versati e pensioni ricevute: un modo per affrontare il tema senza populismi, andando a colpire i furbetti promossi solo agli ultimi mesi di carriera per percepire laute pensioni per il resto della loro vita a spese della finanza pubblica, ma senza togliere contributi a chi li ha effettivamente versati. Di seguito il testo integrale della mia mozione.
MOZIONE
La Camera,
premesso che:
i dati Inps relativi al 2012, rilevano che in Italia ci sono un numero di pensioni superiori a 10 volte il minimo pari a 154.739, per un importo complessivo lordo annuo di 12.753.078.053 euro a carico del sistema pensionistico italiano;
le pensioni d’oro sono figlie del vecchio sistema pensionistico retributivo, che ha generato uno scollamento tra contributi versati e trattamenti pensionistici erogati, dal momento che il calcolo è stato in passato effettuato solo sulle retribuzioni degli ultimi anni di vita lavorativa;
la riforma Dini (legge n. 335 del 1995) con l’introduzione del sistema contributivo ha attenuato questo problema. L’applicazione graduale del metodo contributivo ha favorito il superamento progressivo delle disparità di trattamento legate ai regimi speciali di pensione provenienti dalla nostra tradizione categoriale, stabilendo l’uniformità delle prestazioni in rapporto ai contributi versati, ma non ha risolto la questione dell’equità dei trattamenti erogati con il vecchio sistema, soprattutto rispetto a quelli erogati sulla base del nuovo sistema basato sulle effettive contribuzioni versate.
la crisi economica e occupazionale ha acuito non soltanto le tensioni sulla finanza pubblica, ma anche la percezione dell’insostenibilità e dell’ingiustizia di divari così ampi tra i trattamenti previdenziali del nostro paese.
il perdurare della crisi ha reso necessario il ricorso al contributo di solidarietà, prelievo previsto dall’art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 – che disponeva che, a decorrere dal primo agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici, corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi risultassero complessivamente superiori a 90mila euro lordi annui fossero assoggettati ad un contributo di perequazione pari al 5% della parte eccedente l’importo fino a 150mila euro; pari al 10% per la parte eccedente 150mila euro; e al 15% per la parte eccedente 200mila euro;
con la sentenza n. 116/2013 la Consulta ha tuttavia stabilito che la legge del 2011 viola il principio di eguaglianza dell’articolo 53 della Costituzione in quanto il taglio viene imposto nei confronti dei soli pensionati, una categoria definita nella sentenza «colpita in misura maggiore rispetto ai titolari di altri redditi e, più specificamente di redditi da lavoro dipendente». Secondo la Corte Costituzionale, un «contributo di solidarietà» va applicato in maniera equa tra tutti i contribuenti. Il prelievo, ha spiegato la Consulta, ha natura tributaria e deve, per questo, essere commisurato alla «capacità contributiva» dei cittadini, i quali, come stabilisce l’articolo 3 della Carta, sono «eguali davanti alla legge»;
a seguito della predetta sentenza della Corte (n.116 del 2013), si è reso necessario procedere al riborso delle trattenute effettuate sulle pensioni di importo superiore a 90mila euro, che graverà sulle casse dello Stato per 80 milioni di euro nel biennio 2014/2015, anche se l’Inps in assenza di copertura finanziaria si è riservato le modalità di restituzione delle trattenute operate dal 1° agosto 2011 fino al 31 dicembre 2012;
numerose sono le perplessità suscitate dalla citata sentenza n. 116 del 2013 della Corte Costituzionale, anche perché si riferisce a un settore che ha subito provvedimenti restrittivi a carico dei trattamenti medio – bassi. Vi sono nel sistema previdenziale forme di oggettivo privilegio che non sono più sostenibili sul piano economico, né difendibili su quello etico. Ad alimentare le perplessità è l’esistenza di sentenze precedenti che avevano ritenuto legittimi i contributi di solidarietà a carico delle pensioni di importo più elevato purché si trattasse di una misura improntata a ragionevolezza e disposte per un tempo limitato e previsto.
Con la sentenza n. 173/1986 e le sentenze n. 501/1988 e n. 96/1991 la Corte ha inoltre ribadito la natura mutualistica e solidaristica del sistema previdenziale, sostenendo che “i contributi non vanno a vantaggio del singolo che li versa, ma di tutti i lavoratori e, peraltro, in proporzione del reddito che si consegue, sicchè i lavoratori a redditi più alti concorrono anche alla copertura delle prestazioni a favore delle categorie con redditi più bassi”, fermo restando il principio della proporzionalità tra contributi versati e prestazioni previdenziali ricevute;
per quanto riguarda l’annosa questione dei “diritti acquisiti”, e alla possibilità di intervenire sulle pensioni attraverso trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo, con le sentenze n. 349/1985, n. 173/1986, n. 822/1988, n. 211/1997 e n. 416/1999 la Corte ha escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla cristallizzazione normativa, riconoscendo quindi al legislatore la possibilità di intervenire con scelte discrezionali, perché ciò non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa precedente;
la Corte, inoltre, con la sentenza n.421 del 1995 osserva che “il contributo di solidarietà, non potendo essere configurato come un contributo previdenziale in senso tecnico, va inquadrato nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 della Costituzione, costituendo una prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori (sentenza n. 178 del 2000), con la conseguenza che l’invocato parametro di cui all’art. 53 Cost. deve ritenersi inconferente, siccome riguardante la materia della imposizione tributaria in senso stretto”.
Alla luce delle succitate sentenze della Corte e del perdurare della crisi economica ed occupazionale del nostro paese che rendono necessari interventi di risparmio sulle fasce più deboli, non appare sostenibile nè giustificato il permanere, senza decurtazione alcuna, di trattamenti pensionistici che superano di dieci, venti o anche cinquanta volte il trattamento minimo, quando una parte di tale divario non è legato ai contributi effettivamente versati durante la vita lavorativa dei beneficiari;
vi è l’esigenza di rivedere l’istituto dei diritti acquisiti, non solo in relazione all’orientameno espresso dalla Corte nelle sentenze succitate, ma soprattutto in relazione al particolare momento storico in cui ci troviamo. I diritti sociali vanno acquisiti in relazione alle mutate condizioni economico-sociali. Occorre impiegare le risorse disponibili secondo una logica chiara, che stabilisca un gerarchia dei diritti acquisiti da tutelare, bilanciando l’effettività di tutela con i principi di gradualità e di criterio di compatibilità economica, secondo quanto sancito dal dettato Costituzionale (art. 2 e 53)
si rende quindi indispensabile individuare la parte delle rendite previdenziali privilegiate che non corrisponde a contribuzione effettivamente versata, per assoggettarla a un contributo di solidarietà a vantaggio delle posizioni previdenziali più deboli o di altre prestazioni a favore delle fasce più deboli e maggiormente colpite dalla crisi economica. Tutto ciò in linea con quanto dettato dalla Costituzione in attuazione dei principi solidaristici sanciti dall’art. 2 della Costituzione.
impegna il Governo
a) a procedere alle operazioni di calcolo e di stima necessarie per individuare la parte delle rendite previdenziali privilegiate che non corrisponde a contribuzione effettivamente versata;
b) a disporre in via sperimentale e transitoria l’applicazione a tutte le pensioni superiori all’importo di 60.000 euro annui di un meccanismo caratterizzato da una trattenuta alla fonte, con aliquote progressive per scaglioni, sul differenziale esistente tra l’ammontare della pensione liquidata e l’ammontare della pensione che sarebbe invece liquidata ove la sua quantificazione avesse luogo per intero con il metodo contributivo;
c) a destinare il gettito derivante da tali trattenute al finanziamento di misure volte a per rafforzare il sostegno alle fasce più deboli e maggiormente colpite dalla crisi, anche attraverso un rafforzamento di servizi di assistenza (servizi per la cura dell’infanzia, di assistenza agli anziani e ai disabili) che il peso della crisi ha reso sempre più inaccessibili per molte famiglie.
Tinagli