La Presidente della Commissione UE ha annunciato la mobilitazione di 800 miliardi di investimenti in difesa, nel programma “ReArmEU”. Si sono subito scatenate reazioni e dibattiti ideologici , e anche molta confusione. È bene precisare che, al momento, questi 800 miliardi non ci sono. Questa somma è infatti una stima basata su una serie di misure, molte delle quali fanno affidamento su spese nazionali. Gli Stati Membri saranno incentivati ad aumentare i propri investimenti in difesa attraverso due canali. Il primo è uno strumento europeo con cui la Commissione emetterà dei titoli per raccogliere circa 150 miliardi di fondi che verranno poi prestati, a condizioni vantaggiose, ai paesi che ne faranno richiesta. Il secondo è la possibilità per gli Stati di deviare dal Patto di Stabilità, attivando una “clausola di salvaguardia nazionale”, cosa molto diversa dallo “scorporo” dal calcolo del deficit, e indebitarsi per aumentare i propri investimenti nel campo della difesa.
È positivo che l’Unione Europa si ponga il tema della difesa e della sicurezza del continente, ed è fondamentale agire. Tuttavia è importante che le azioni messe in campo abbiano i risultati sperati, altrimenti lo sforzo sarebbe vano.
Vedo due limiti essenziali nell’approccio della Commissione.
Innanzitutto non c’è nessun obbligo per gli Stati, già molto indebitati, a contrarre debiti per fare investimenti in difesa, né di prendere a prestito dalla Commissione. Rischia quindi di ripresentarsi la situazione già vista nella gestione COVID, dove la possibilità di ricorrere a prestiti agevolati prevista da Next Generation EU è rimasta largamente inutilizzata. Sulla carta quindi si parla di 800 miliardi di investimenti, ma alla fine si rischia di vederne realizzati solo una minima parte.
In secondo luogo, anche nel caso in cui gli Stati decidano di investire, non c’è alcuna forma di coordinamento capace di rendere efficaci ed efficienti questi stanziamenti. Un rapporto del 2017 della Commissione europea spiegava che nell’UE ci sono 17 modelli di carri armati, 29 di fregate, 20 di aerei da combattimento. Tanto per fare un confronto, negli Stati Uniti gli stessi numeri erano uno, quattro e sei. Una nuova ondata di investimenti non-coordinati rischia di esacerbare questa frammentazione. Senza contare che avere decine di paesi che all’improvviso vogliono comprare armamenti in modo scoordinato farebbe schizzare i prezzi delle armi e delle materie prime con problemi anche per le imprese “civili” e con l’aumento dell’inflazione, che potrebbe costringere la BCE a rialzare i tassi.
Dispiace che questi temi non possano essere affrontati con serietà nel dibattito pubblico senza cadere nel tritacarne delle etichette e del posizionamento politico. Non facciamo un buon servizio al futuro dell’UE se ci dividiamo tra pacifisti e guerrafondai.
Dovremmo invece discutere su come migliorare la proposta. Le possibilità sono molte, mi limito a citarne tre, per aprire il dibattito. La prima cosa, la più facile, è condizionare l’accesso ai prestiti UE all’utilizzo per progetti veramente europei o comunque a piani di acquisti coordinati. Questo non garantisce che i paesi chiederanno i prestiti ma, se lo faranno, per lo meno sarà una spesa “coordinata” e con impatti più contenuti sui costi.
La seconda cosa potrebbe essere condizionare l’attivazione delle clausole di salvaguardia non a generiche “spese di difesa” ma a piani coordinati a livello Ue. Non è semplice, ma si potrebbe “disegnare” la clausola in un modo che favorisca il coordinamento lungo delle linee strategiche concordate a livello europeo. Oppure si potrebbero canalizzare i soldi in un fondo militare europeo “ad hoc” gestito magari dall’Agenzia Europea per la Difesa, attraverso cui fare acquisti comuni di quel che serve: missili, aerei militari, etc etc.
Terza possibilità: visto che la creazione di un fondo militare europeo potrebbe incontrare veti dentro al Consiglio UE, si potrebbe procedere con un fondo intergovernativo con i Paesi UE “che ci stanno” in cui includere anche UK e Norvegia.
Sarebbe un primo mattone importante per la difesa europea. E tutti i contributi a tale fondo dovrebbero essere scorporati dal deficit.
È un momento storico cruciale. È fondamentale agire, ma è importante anche agire bene, in modo unito e coeso, perché non ci sarà prova d’appello. Il rischio di un piano male impostato è quello di ritrovarci tra qualche anno con i Paesi UE indebitati fino al collo, l’inflazione in aumento e una difesa ancora scoordinata e inefficace. Possiamo permettercelo?