Irene Tinagli, lei è tra gli eurodeputati del Pd che hanno votato a favore della risoluzione, nonostante l’indicazione dell’astensione. È una spaccatura o il segno che nel partito continuano a convivere più anime?
«Che il Pd sia un partito plurale e che ci siano delle sensibilità diverse all’interno è un dato di fatto, ed è parte della sua ricchezza. Anche io avevo mosso rilievi sul piano presentato, ma poi c’è stato un lavoro nel merito che ha portato a fare approvare degli emendamenti e indirizzare in modo nuovo il dibattito. Il risultato di questo lavoro porta, necessariamente, a dei compromessi. La parte che ha votato a favore ha ritenuto che il dibattito fosse stato migliorato in positivo. Si vota sì anche per dire che si fa parte della maggioranza che sta portando vanti un certo tipo di percorso. Un’altra parte, invece, ha ritenuto insufficiente il miglioramento apportato».
La scelta dell’astensione è stato un autogol da parte della segretaria, visto che c’erano le premesse per un sì?
«La segretaria ha fatto bene a sollevare delle criticità. Il sì sarebbe stata l’occasione per rivendicare un nostro ruolo critico ma costruttivo sul tema»
Questo voto rischia di ridurre l’influenza, o peggio, isolare il Pd all’interno del Pse?
“Non credo proprio. Alcuni di noi si sono astenuti, ma per il resto siamo ben ancorati ai lavori e al dibattito in corso nel gruppo dei socialisti e democratici europei, in cui continueremo a giocare un ruolo attivo e propositivo nei prossimi passaggi. Insomma, finché permane la disponibilità a ragionare sui prossimi passi e a supportare il percorso verso il piano di difesa europeo non drammatizzerei.
I distinguo sulla difesa ha riacceso il dibattito interno al partito, e c’è chi, come Luigi Zanda, propone un Congresso. Si tratta della strada giusta?
«I congressi sono sempre momenti complessi nella vita di un partito. Certamente è importante la discussione interna. Nell’ultima direzione, per esempio, la segretaria ha presentato una relazione che è stata votata all’unanimità ma senza la partecipazione di una grossa componente del partito. Forse questa non è la modalità migliore. Bisognerebbe trovare una via di mezzo, con discussioni anche dure, nel caso»
Che intende?
«È vero che, a volte, per tutelare l’unità abbiamo finito per evitare alcuni dei nodi rilevanti su cui siamo stati costretti a misurarci a livello parlamentare».
Molti hanno letto nella posizione della segretaria un riflesso della competizione a sinistra con il leader del M5S, Giuseppe Conte. Secondo lei è così?
«Mi auguro di no. Su un tema così, il Pd deve avere una linea ed autonoma, senza fare concessioni. Ogni partito deve avere la propria linea senza vie di mezzo. Questo non vuol dire non allearsi su altri temi».
Le spaccature sul fronte estero rendono ancora possibile la costruzione di un’alternativa di governo?
«Penso che il governo stia facendo più fatica di noi, a giudicare dal voto. La Lega ha votato contro, e faccio notare che Matteo Salvini è il vice presidente del Consiglio. Succede che il giorno prima Meloni vada a discutere di difesa con Macron e, il giorno dopo, Salvini lo insulti. Noi possiamo essere divisi tra astensione o voto a favore in relazione a quanto riteniamo migliorativo il testo proposto. Lì mi pare ci sia una spaccatura di tutt’altra gravità».