«Ci interessa essere credibili, con un maxi piano di acquisti militari che sia davvero un deterrente contro la Russia, o vogliamo finire come con i banchi a rotelle comprati durante il Covid?». L’economista Irene Tinagli, eurodeputata del Pd, fa parte della corrente dei riformisti. Ha una storia molto diversa dalla sua segretaria. Ma ammette: «La verità è che non c’è garanzia che questa spesa da 800 miliardi per le armi sia efficace, servono dei correttivi».
Tinagli, dica la verità: quando Elly Schlein ha bocciato in maniera secca il Rearm Europe («È una risposta sbagliata») è saltata sulla sedia?
«Sono solo rimasta un po’ sorpresa, l’avrei detto in maniera diversa. Il piano della presidente von der Leyen è stato posto con grande coraggio, ma ha delle criticità: manca una dimensione europea, su questo Elly ha ragione».
Per Pina Picierno, pure lei eurodeputata riformista, è invece «una svolta storica». Lei dove sta?
«Io francamente vorrei evitare questa polarizzazione, perché non facciamo un servizio all’Europa. Nel Rearm Europe manca l’unità, il fattore chiave per renderci davvero forti».
Teorizza, insomma, una «terza via». La può spiegare?
«La proposta della presidente, così com’era nella sua prima versione, non dava la garanzia che tutti i Paesi avrebbero potuto garantire questi 800 miliardi. Ma soprattutto manca l’assicurazione che questa spesa sia efficace. Mario Draghi, alla plenaria del Parlamento Ue, ha spiegato chiaramente che il problema della difesa europea non è tanto la quantità di spesa, bensì il coordinamento di questa. Siamo a un bivio della storia: dobbiamo reagire uniti anche sul riarmo, così come facemmo con il NextGenerationEU per reagire al Covid».
Il piano von der Leyen, giustificato con l’urgenza, sarà portato direttamente al Consiglio europeo. Il Parlamento Ue, insomma, sarà bypassato.
«E questa modalità è un problema. Si è scelta una strada che non valorizza la democrazia europea. E noi siamo tutti a Bruxelles per cercare di costruirla, questa Europa».
Con il Pse starete però mediando su una risoluzione comune. Se non fosse trovato un accordo, lei voterebbe la linea del Pse, in disaccordo con il Pd?
«L’accordo con il Pse lo stiamo trovando: c’è già una bozza. E in questo documento c’è un indirizzo importante per spingere su un maggior coordinamento della spesa. Sono ottimista. A un certo punto ci sarà un’intesa: meglio portare a casa almeno qualcosa di buono che bloccare tutto».
Secondo l’Istat a gennaio il tasso di occupazione è salito al 62,8%. Un nuovo record. Con che armi contestate le politiche sul lavoro del governo Meloni?
«Sono contenta per questo, devo essere sincera. Ma contesto quelle industriali, perché la produzione è in costante recessione. È il momento di riforme per incrementare qualità è produttività del lavoro, perché il Pil è fermo».
Lei fu un’alfiera del Jobs act. Come voterà ai 5 referendum, con Schlein al fianco della Cgil?
«Non abbiamo un problema di licenziamenti di massa, bensì di criticità sui salari e su una produzione industriale da far ripartire. Il Jobs act ha avuto effetti positivi: dobbiamo preoccuparci delle sfide future, più che del passato».